Se avete un profilo Instagram probabilmente sarete già caduti vittime dell’esercito della normalizzazione.
Mentre il clima e il pianeta ci ricordano la nostra provvisorietà e le tensioni in varie parti del mondo ci fanno sentire sereni come se fossimo seduti sul coperchio di una pentola a pressione, il termine “normalizzazione” ha trovato ampio margine d’azione, prendendo il controllo della narrazione social e di buona parte dei contenuti che ci tengono compagnia, quando l’unica cosa che vogliamo è quella di spegnere il cervello.
Normalizziamo. Normalizziamo tutto.
Diciamocelo senza indugi.
Oggi se non normalizzi qualcosa, non sei nessuno.
Lo dice Instagram e soprattutto il suo algoritmo.
- Normalizzare il corpo femminile
- Normalizzare la psicoterapia
- Normalizzare il fallimento
- Normalizzare la quotidianità
- Normalizzare la sessualità
L’unicità non è più argomento di discussione, la nuova parola del giorno è “normalizzare”.
Normalizzazione: un nuovo modo di sponsorizzare
Curioso però notare come la necessità di normalizzare qualcosa sia sempre in linea con le tendenze del mercato e con un nuovo prodotto o servizio da lanciare.
Facciamoci caso. Ultimamente guardando tra le storie di diversi influencer, possiamo notare un pattern comune: hanno TUTTI scoperto la psicoterapia.
Attenzione però, non psicoterapia a caso; casualmente tutti hanno deciso di affidarsi a un servizio di supporto psicologico online e sempre casualmente, tutte queste prese di coscienza sono accompagnate dall’hashtag #adv o “partnership pubblicizzata”.
Cito il caso della psicoterapia perché forse più di tutti, rende lampante come anche argomenti sensibili e delicati e che dovrebbero essere trattati esclusivamente da professionisti, diventano un contenuto come un altro da promuovere sui social, un contenuto che perderà buona parte della sua profondità e complessità, in favore di una rapida digestione dell’informazione con il fine di spingere l’utente a riconoscere un nuovo bisogno e di conseguenza ad acquistare un nuovo servizio.
Eppure, il concetto che questo articolo si propone di esprimere, non è che tutti i valori promossi sui social siano fasulli, tutt’altro.
Eppure, bisogna considerare come un utente distratto o poco informato, potrebbe essere portato ad immedesimarsi in qualcosa per i motivi sbagliati, riconoscersi in qualcosa che viene presentato come un valore ma che in realtà è semplicemente un messaggio pubblicitario.
Brand e valori, un piccolo approfondimento: guarda video
Ci si può difendere da qesta tipologia di comunicazioni? Ovviamente sì.
Cercando di differenziare i brand che realmente rispettano e veicolano i valori di cui si fanno promotori e quelli che invece mirano, attraverso la creazione di un bisogno, a vendervi il loro prodotto o servizio.
Altrettanto importante, sarebbe ricordare che ognuno di noi ha le proprie unicità che non possono trovare un riscontro in ogni personaggio del web e che il rispetto e la comprensione della diversità, passano dall’ascolto e dalla condivisione, di sicuro non dalla vendita di qualcosa.
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