Qualcuno direbbe “fatta la legge trovato l’inganno”.
ChatGpt è uno strumento ormai noto ai più, che iniziava a prendere piede in ogni contesto lavorativo, non solo in quelli più strettamente inerenti l’ambito della comunicazione e del marketing. ChatGpt stava diventando un vero e proprio assistente in grado di scrivere testi (quasi) di ogni tipo e per ogni finalità d’uso. Una sorta di aiutante entrato nei nostri uffici in modo silenzioso ma del tutto rivoluzionario. Si tratta infatti della prima volta che l’intelligenza artificiale compie un passo così importante nel processo di ubiquità della tecnologia: è diventato parte della nostra realtà lavorativa, rappresentando un elemento latente ma sempre presente e pronto all’uso quando necessario.
Qualcosa però è cambiato, e la risposta italiana non ha tardato a farsi sentire.
Cosa è successo a ChatGpt?
Ebbene è passato qualche giorno da quando il Garante della privacy, l’autorità italiana che assicura la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali e il rispetto della dignità nel trattamento dei dati personali, ha deciso di bloccare l’utilizzo di ChtaGpt in Italia.
A suo dire, ChatGpt sarebbe colpevole di aver raccolto e detenuto in modo illecito i dati personali degli utenti utilizzatori.
Il risultato è stato semplicemente uno: scatenare il panico tra tutti coloro che erano ormai abituati a fare affidamento su ChatGpt per ottimizzare il proprio flusso di lavoro.
Scopri i comandi che ti aiuteranno ad ottenere il massimo da Chat Gpt per la tua strategia digitale
Pizza Gpt sito: ecco di cosa si tratta
Gli italiani potevano rimanere inermi di fronte all’impossibilità di ricorre ad uno strumento utile, gratuito e così semplice da utilizzare?
Il NO definitivo a questa domanda, lo ritroviamo nella controffensiva che assume toni sarcastici, scatenata da Lorenzo Cella, un ingegnere informatico italiano che lavora in Svizzera. Lorenzo ha riassunto il pensiero di molti italiani in merito alla questione, affermando che la decisione presa dal Garante sia “stupida e controproducente” e dichiarando che “L’Italia ha bisogno di restare al passo con il resto del mondo, e l’AI è una tecnologia che può aiutare il nostro Paese a crescere”.
Ed è così quindi che Lorenzo decide di dar vita ad una piattaforma di AI con le stesse capacità di ChatGpt, ma rispettando le limitazioni imponibili dal Garante della privacy: sul sito Pizza Gpt nessun dato utente viene registrato e può inoltre essere utilizzata in maniera totalmente gratuita. Per la gestione delle spese del software, è stato aggiunto un pulsante con cui è possibile donare 9 euro, il prezzo, guarda caso, di una pizza.
PizzaGpt oltre ad avere un nome particolarmente evocativo rispetto al paese a cui è rivolto il servizio, sfrutta la stessa API di ChatGpt, garantendo pertanto delle risposte pressoché identiche a quelle che darebbe il nostro amico ormai mandato in pensione.
Qualcuno direbbe “fatta la legge trovato l’inganno”, ma siamo sicuri che sia proprio così? È davvero possibile paragonare questo strumento ai soliti sistemi “all’italiana” che permettono di raggirare la legge per trarne qualche tipo di guadagno? Non sarà forse un po’ troppo tardi per essere puntigliosi sulle questioni di privacy, considerando che il semplice accesso ad internet lascia dietro ogni utente una miriade di dati sensibili e che ognuno di noi trascorre ormai quotidianamente, gran parte del proprio tempo sui social e online?